Il Made in Italy è molto più di un’etichetta. E’ la nostra identità, è ciò che ci rende riconoscibili e rispettati nel mondo. Ma non può essere difeso solo a parole. I gruppi parlamentari di Fratelli d’Italia hanno lavorato per garantirgli le condizioni per essere forte, competitivo e capace di crescere. E questo significa anche agire sulla forza lavoro, perché senza lavoratori non si produce, e senza produzione il Made in Italy si spegne.
Cosa ha fatto FdI in parlamento e Giorgia Meloni?
Fino a poco tempo fa, l’Italia affrontava la mancanza di manodopera con misure emergenziali. Sanatorie per regolarizzare chi già lavorava in nero o decreti-flussi annuali, spesso poco utilizzati e tardivi, con un ricorso massiccio al lavoro stagionale mal gestito.
Il risultato? Le imprese non riuscivano a programmare e il mercato del lavoro restava fragile, poco stabile, spesso esposto allo sfruttamento. Con la Legge 50/2023, invece, si cambia approccio: si è passati da un’organizzazione disordinata a una gestione stabile della manodopera straniera. La valorizzazione del Made in Italy parte anche da un grande lavoro svolto dai gruppi parlamentari di Fratelli d’Italia sul lavoro e sull’immigrazione.
Come questa legge aiuta concretamente il sistema produttivo
Anche se non prevede bonus o incentivi, questa legge mira a rafforzare la competitività delle imprese italiane attraverso un accesso più facile e regolare alla forza lavoro. Soprattutto in settori chiave come agricoltura, edilizia, logistica, turismo. Per la prima volta, i flussi di lavoratori stranieri sono programmati per tre anni (2023-2025), non più anno per anno. Le imprese possono così pianificare assunzioni con più anticipo, evitando ritardi o imprevisti.
I gruppi parlamentari di Fdi, come il loro impegno, hanno voluto percorsi formativi all’estero, in collaborazione con enti italiani. In questo modo, chi si forma all’estero secondo standard italiani può entrare anche fuori dalle quote, perché già pronto per lavorare.
Le procedure per le assunzioni sono più snelle e affidate a professionisti come consulenti del lavoro o associazioni di categoria. E poi c’è la conversione facilitata dei permessi. Chi è in Italia con un permesso per studio, tirocinio o formazione può convertirlo in permesso per lavoro (che è passato da due a tre anni) con meno vincoli. Questo valorizza risorse già presenti sul territorio, spesso formate in Italia.
Un esempio pratico
Immaginiamo un’azienda agricola in Sicilia che produce arance e ha bisogno di 30 braccianti per la raccolta in inverno. Fino a poco tempo fa, doveva sperare in qualche sanatoria o arrangiarsi con lavoratori già presenti sul territorio, spesso in condizioni poco chiare. Con la nuova legge, invece, l’azienda può sapere in anticipo quanti lavoratori stranieri può assumere grazie alla programmazione triennale decisa dal Governo. Può cercarli in Paesi come Tunisia o Marocco, dove vengono formati prima di partire.
L’azienda fa richiesta online, allega i documenti e una certificazione di un consulente del lavoro o dell’associazione agricola che segue la pratica. Se tutto è in regola, entro 30 giorni arriva l’autorizzazione e i lavoratori possono entrare in Italia con un visto valido. Tutto è più veloce, controllato e legale. Così l’azienda riesce a raccogliere le arance in tempo, rispettare i contratti e restare sul mercato, senza più dover improvvisare o sperare nei condoni.
Perché tutto questo aiuta il Made in Italy?
Il Made in Italy si fonda sulla qualità, certo. Ma anche sulla capacità di produrre con continuità, rispettando tempi e standard qualitativi. Se le aziende non trovano personale, non possono consegnare, esportare, crescere. Con la Legge 50/2023, si aiutano le imprese a trovare manodopera legale, formata e stabile. La filiera del lavoro regolare risulta rafforzata e in condizioni strutturali, non temporanee, ma stabili. Questo è il pilastro che mantiene competitivo il sistema produttivo italiano. E’ una politica industriale che guarda al futuro. Che supera il bivio tra eccellenza e sopravvivenza. E sceglie la prima.